La scomparsa degli svedesi d'Estonia
Viaggio baltico sulle tracce di una minoranza che non c'è più.
Ciao. Oggi racconto di quel che rimane di una minoranza scomparsa, quella degli svedesi d’Estonia.
Questa è Collisioni, la newsletter mensile trimestrale semestrale di Angelo Zinna. Che sono io. Mi puoi contattare su Instagram o rispondendo a questa email.
Gennaio
Non so ancora cosa mi aspetta quest’anno, quindi sto evitando di fare programmi. Non prevedo di muovermi per qualche mese, ma vediamo. Sto lavorando a una bella storia artica per National Geographic e preparando la domanda per un bando di giornalismo europeo con due colleghi/amici. Dita incrociate, se va bene poi vi racconto.
Sto anche lavorando dietro le quinte a una piccola rivista di viaggi, si chiama Wayer. Cerchiamo gente che scriva di una decina di paesi, inclusa l’Italia (priorità a Milano, Venezia, Trieste, Firenze, Roma, Sicilia, Sardegna, per ora). Qui si trovano le linee guida e l’indirizzo email a cui mandare i pitch, li leggo tutti io. La paga è 300 USD per 1500 parole, al momento accettiamo solo proposte di persone con un portfolio in inglese.
Svedesi d’Estonia
Ho conosciuto il capitano Pekka intorno alla metà di giugno, al piccolo porto di Kuressaare. Un amico di un amico ci aveva messi in contatto qualche settimana prima, sapendo che ero diretto in Estonia per scrivere una guida di viaggio. Trovare persone in grado di darti la dritta giusta è una parte importante di questo strano lavoro, oltre che il modo più efficace per scovare storie che altrimenti passerebbero inosservate. Così, pur non avendo ben chiaro cosa facesse Pekka a Kuressaare, gli avevo chiesto un incontro. “Ti aspetto sulla barca”, mi aveva detto.
La Hoppet era ormeggiata a Saaremaa per tutta l’estate, escluse le giornate in cui il capitano e il suo cane uscivano nel Mar Baltico con i gruppi che avevano prenotato un’escursione nelle altre isole dell’arcipelago. “È un mezzo impegnativo, tra poco compie 100 anni”, mi aveva detto Pekka, aprendo una bottiglia di limoncello, “ma ancora resiste.” Da una parete aveva staccato una cornice che conteneva un certificato. “Guarda, 1925/1926. È l’anno di costruzione. Stai bevendo su un pezzo unico!”
Esistono molte navi con più di un secolo di vita che continuano a navigare i mari d’Europa, ma la storia della regione baltica aveva portato la Hoppet a essere l’ultimo esemplare della sua specie. Con la Seconda guerra mondiale, infatti, l'Estonia era stata isolata dal resto d'Europa, e tutte le imbarcazioni locali vennero utilizzate per la fuga via mare o distrutte durante il conflitto. Una sola nave scampò alla distruzione: la Hoppet.
Nel 1927, alla fine del suo primo viaggio internazionale, era stata venduta in Finlandia, dove rimase fino agli anni Sessanta, evitando il destino delle altre imbarcazioni estoni. “Se vuoi vederla in azione, domani un gruppo ha prenotato un giro per la loro festa aziendale. Non credo facciano storie. Partiamo alle nove, andiamo ad Abruka”.

La mattina successiva mi ero rimesso in cammino verso il porto per imbucarmi alla festa di un’azienda di arredamenti che aveva prenotato la Hoppet per navigare fino ad Abruka, un’isola che vanta una popolazione impermanente di circa 30 abitanti. Ripensando a ciò che Pekka mi aveva raccontato il giorno precedente, mi era venuta in mente una domanda: come mai una nave costruita in Estonia e poi venduta in Finlandia aveva un nome svedese?
Ci era voluta qualche decina di minuti sulle onde perché mi integrassi nel gruppo. Nessuno aveva capito quale fosse il mio ruolo su quella nave, e Pekka era troppo impegnato a gestire timone e cucina per dare spiegazioni. Era solo questione di pazienza: anche una ciurma di impiegati estoni cede dopo una colazione a base di birra.
Alla prima occasione avevo cercato chiarimenti: “Hoppet vuol dire qualcosa in estone?”. La risposta era stata negativa, confermando così l’ipotesi suggerita dal poco svedese che mi è rimasto in testa: “hoppet” è la parola svedese per “speranza”.
“L’hanno costruita gli svedesi” mi aveva spiegato un altro passeggero, “per questo si chiama così”. Quindi, l’unica nave estone a essere sopravvissuta alla Seconda guerra mondiale è, in realtà, svedese. “Non proprio, l’hanno costruita gli svedesi della costa, gli svedesi d’Estonia”.
La storia degli svedesi d’Estonia era un tassello mancante nell’immagine del territorio baltico che stavo cercando di costruire. Distratto dalle tracce di tre secoli di influenza russa, avevo messo in secondo piano le altre entità politiche che avevano contribuito a dare forma alla cultura del luogo in cui mi trovavo. Per quasi un millennio, da queste parti si erano intrecciati gli interessi di Germania, Svezia, Polonia e Lituania prima di arrivare alla Russia e, infine, a un’idea di identità nazionale.
Una popolazione svedese viveva sulla costa nord-occidentale dell’Estonia fin dal Medioevo. I documenti più antichi che ne parlano risalgono al tredicesimo secolo, e si crede che i primi svedesi siano arrivati attraverso la Finlandia.
Per circa 650 anni vissero nella regione di Noarootsi (Nuckö in svedese) e nelle isole vicine, pescando e lavorando la terra, quasi sempre al servizio dell’aristocrazia tedesca. La nave Hoppet fu costruita tra il 1925 e il 1926 in uno dei villaggi abitati da questa minoranza, Spithamn (oggi Spithami). Due decenni dopo l’intera popolazione degli svedesi d’Estonia sparì.

Di ritorno da Abruka, Pekka mi aveva fatto vedere un libro, scritto in svedese, in cui apparivano alcune foto della Hoppet prima dell’ultimo restauro. “Ha girato un bel po’ prima di tornare a casa”.
Lasciata Kuressaare, avevo continuato il mio viaggio in Estonia sperando di trovare altri resti lasciati dalla popolazione scomparsa degli svedesi d’Estonia. La mia curiosità era alimentata anche dal fatto che parte della mia famiglia appartiene a una minoranza svedese (in Finlandia). Oltre a un piccolo museo a Haapsalu, non ho fatto grandi scoperte fino a quando non ho raggiunto l’isola di Vormsi.
Vormsi – Ormsö in svedese, che significa “Isola del Serpente” in italiano – oggi ha circa 300 abitanti, ma all’inizio del Novecento la sua popolazione aveva raggiunto alcune migliaia. Quasi tutti erano svedesi. Arrivato sull’isola con un traghetto da Rohuküla, ho noleggiato una bicicletta al porto e ho cominciato a pedalare sull’unica strada disponibile. La meta era la chiesa di Sant’Olaf, dove si trova forse la più importante traccia del passaggio degli svedesi in Estonia.
Dietro la chiesa si estende un cimitero in cui 300 lapidi somiglianti a croci celtiche affondano nel terreno. Secondo il sito della chiesa, si tratta della più grande collezione al mondo di croci solari, un simbolo ispirato alla natura, comune tra le popolazioni nordiche precristiane. Gli svedesi di Vormsi, vivendo su un’isola remota di una regione in cui il cristianesimo è arrivato tardi, hanno continuato a utilizzare queste croci fino al diciannovesimo secolo.
Passano alcuni mesi e torno a casa, a Firenze. Finisco di scrivere la guida, invio le bozze alla casa editrice, ricevo i commenti, correggo, rimando, va in stampa. Gli svedesi d’Estonia rimangono ai margini. Ci penso e mi rendo conto di quanto, sempre più spesso, mi lasci attrarre più dall’assenza che dalla presenza. Vado nei posti a cercare quello che non posso vedere. E come sono diventato bravo a non vedere niente, quando vado nei posti.
La cosa più vicina a un’immagine degli svedesi d’Estonia sono i quadri di Ernst Hermann Schlichting, un tedesco baltico che, verso la metà del diciannovesimo secolo, produsse una serie di litografie che ritraevano la minoranza. La collezione di opere mostra persone in abiti tradizionali, gente che balla e suona la talharpa, contadine che raccolgono il grano. Peccato che l’atmosfera bucolica delle scene dipinte da Schlichting sia falsa.

In Everything is Wonderful, Sigrid Rausing racconta che all’epoca l’isola di Vormsi era di proprietà del barone von Stackelberg e che l’intera popolazione lavorava al suo servizio in cambio di cibo. Rausing riporta l’impressione di un osservatore:
Una nave svedese si incagliò sull’isola durante l’inverno, e il barone invitò il capitano a restare. Il capitano vide la gente che veniva spinta fuori strada e costretta a inginocchiarsi nei cumuli di neve per far passare il barone, che gridava e li colpiva con la frusta. Neanche i servi della gleba in Russia, scrisse il capitano, erano così schiavizzati.
Gli abitanti erano devastati dall’alcolismo e dalla povertà. I furti erano comuni. Alla frustrazione contribuiva il fatto che gli svedesi non erano considerati servi della gleba come gli estoni, ma sull’isola di Ormsö ricevevano lo stesso trattamento.
In altre zone andò anche peggio: nel 1781, gli svedesi estoni dell’isola di Hiiumaa (Dagö in svedese) furono “invitati a migrare” in Ucraina meridionale da Caterina II per colonizzare le terre conquistate dalla Russia alla fine della guerra contro gli Ottomani. Gli svedesi di Hiiumaa raggiunsero l’Ucraina a piedi, d’inverno. Delle circa 1.000 persone che partirono nel 1781, ne arrivarono solo 535 nel 1782. Nella regione di Kherson fondarono il villaggio svedese di Gammalsvenskby. Nel 1929 “tornarono” in Svezia, la casa in cui non erano mai stati. Alcuni, non avendo mai vissuto in una società industrializzata, fecero ritorno poco dopo in Ucraina (ma questa è un’altra storia).
Per gli abitanti di Vormsi, le condizioni cominciarono a migliorare grazie a un gruppo di missionari svedesi arrivati nel 1873 e poi con la morte del barone von Stackelberg, ultimo proprietario privato dell’isola.
Secondo il censimento, gli svedesi d’Estonia erano 7.641 nel 1934. Nel 1941, un anno dopo l’invasione sovietica, le forze della Wehrmacht raggiunsero l’Estonia. I tedeschi occuparono l’Estonia per quattro anni, dal 1941 al 1944. Nel 1944, durante gli ultimi giorni dell’occupazione nazista, quasi tutti gli svedesi furono evacuati in Svezia.
Parte della ragione per cui si sa così poco di questa minoranza è che il governo svedese trovò un accordo con la Germania per salvare gli svedesi d’Estonia: le SS avrebbero permesso l’evacuazione dietro pagamento di 50 corone svedesi a persona. I villaggi svuotati di svedesi furono poi ripopolati da estoni fuggiti dalla Russia. Dei circa 8.000 svedesi in Estonia, più di 7.000 partirono. Concluso lo scambio, entrambe le parti decisero che era meglio non rendere pubblico l’affare.

Nell’autunno del 1944, l’Unione Sovietica riprese il controllo dell’Estonia. I 32 villaggi della regione svedese d’Estonia vennero trasformati in 23 fattorie collettive, con nomi come Lenin, Bandiera Rossa, Vittoria, Partigiano, Kalinin. Le poche famiglie svedesi rimaste erano viste con sospetto a causa dei loro contatti con l’estero e, in poco tempo, capirono che era più conveniente assimilarsi alla maggioranza e dimenticare la propria identità.
La nave Hoppet, intanto, era rimasta in Finlandia fino alla fine della guerra, utilizzata principalmente per il trasporto di merci lungo la costa. Nel 1953 fu venduta a Saltvik, nella regione autonoma di Åland, dove continuò a muovere materiali edili fino al 1965 quando, ormai invecchiata, raggiunse Stoccolma. In Svezia diversi proprietari ambiziosi si passarono la Hoppet, ma uno dopo l’altro rinunciarono ai tentativi di restauro per i costi troppo alti.


Nell'estate del 2001, dopo che la Hoppet danneggiata era stata rimorchiata a Visby, nell’isola di Gotland, la preside di una scuola locale notò la nave ferma al porto. La signora si chiamava Birgit Eldh. A attirare la sua attenzione non erano state nè l’unicità nè le pessime condizioni dell’imbarcazione. Eldh, originaria di Spithamn, conosceva personalmente la Hoppet: suo padre, svedese d’Estonia fuggito dalla guerra, aveva partecipato alla costruzione della nave negli anni Venti. Una coincidenza straordinaria, che portò Eldh a attivarsi per il restauro che avrebbe riportato la Hoppet a casa. Nel 2012, con il supporto della Society of Swedish Literature in Finland, la Hoppet ripartì per l’Estonia, 85 anni dopo aver lasciato la sua costa.
L’ultima fattoria collettiva
Per saperne di più.
Everything is Wonderful
di Sigrid Rausing
Uno dei pochissimi testi in inglese a raccontare la storia degli svedesi d’Estonia è Everything is Wonderful di Sigrid Rausing. Nei primi anni Novanta, subito dopo il crollo dell’Unione Sovietica, Rausing comincia le ricerche per il suo dottorato: un analisi antropologica dell’ultima fattoria collettiva in Estonia nel momento del suo sgretolamento.
Nobiltà baltica
Sünnipäev (Compleanno)
Ernst Hermann Schlichting (1842)
Ernst Hermann Schlichting è famoso per i suoi ritratti dell’aristocrazia baltica che ha controllato i territori dell’Estonia per secoli.
Cose che non pensavi di voler sapere
Una raccolta di storie dal mondo apparse online nel mese scorso recentemente.
I primi passi della TAPI, il gasdotto Turkmenistan–Afghanistan–Pakistan–India
Incontro tra i capi dei governi kirghiso, tagico e uzbeko in mezzo al niente
Suoni
Ho ascoltato If You Don’t Like the First One You Won’t Like the Rest dei Fat Earthers e Who Let the Dogs Out delle Labrini Girls.
Il meglio della musica del 2024 probabilmente si trova in questa playlist.
MA che bell'articolo!! mi hai riportato nelle atmosfere di Anime baltiche di Jan Brokken, che mi ha fatto scoprire i Paesi baltici. Non sapevo ci fosse una minoranza svedese in Estonia, una storia molto bella, attraverso la Hoppet.